mercoledì 8 febbraio 2012

Rivoluzionare la scienza. Intervista ad Elisabetta Donini

Definire il complesso rapporto tra donne e conoscenza scientifica.



Fisica critica e storica delle scienze Elisabetta Donini fa parte del Cirsde - Centro Interdipartimentale di Ricerche e Studi delle Donne dell’Università di Torino. Si è occupata di politica della diversità, relazioni attraverso i conflitti, costruzione di culture di pace, cura dell’ambiente, critica dei modelli di sviluppo. Le abbiamo chiesto di parlarci del rapporto tra donna e scienza, e in particolare, nel tentativo di rompere i paradigmi conoscitivi dominanti, della possibilità di un'autonomia del genere femminile nei modelli scientifici.
Lei ha dichiarato: “Non desidero affatto che ci siano più donne, ragazze, bambine, educate all'entusiasmo della scienza, se simultaneamente non si riesce a cambiare cosa significa conoscenza scientifica”. Ci spiega meglio cosa intende?
Credo che occorra distinguere tra due modi principali di porre il problema: l’uno si articola come una questione di “donne e scienza” e mira a far cadere gli stereotipi e i vincoli socioculturali che per secoli hanno ostacolato, se non impedito, l’accesso delle donne al mondo della conoscenza scientifica. L’altro parla invece di “genere e scienza”: attraverso l’analisi delle caratteristiche di oggettività e universalità ascritte alla scienza, intende mostrare che quest’ultima è stata plasmata secondo le forme mentali e le relazioni con il mondo esterno che erano proprie dei suoi “padri fondatori” e che almeno nella storia dell’Occidente hanno connotato l’identità di genere maschile. Come scriveva negli anni ’80 del secolo scorso Sandra Harding, il primo è un approccio riformista: facciamo sì che alle donne vengano riconosciute possibilità pari a quelle degli uomini di essere scienziate. Il secondo è un approccio rivoluzionario: a partire dalla critica di genere sviluppata da tante studiose femministe, mettiamo in discussione che i modi della conoscenza scientifica siano necessariamente quelli affermatisi come tali e diamo invece spazio ad altri processi cognitivi, riconoscendo ad esempio che ogni sapere è non già “oggettivo”, ma “situato”, nel senso che dipende dal punto di vista da cui si colloca il soggetto; oppure rinunciando alla pretesa del distacco tra soggetto e oggetto, per valorizzare piuttosto le relazioni di interdipendenza. Sono queste le trasformazioni cui mi parrebbe importante che si dedicassero le donne interessate alla scienza, anziché premere per un più largo accesso alle professioni scientifiche, accettandole così come oggi sono modellate e conformandosi ad una impostazione che storicamente è stata segnata dalla dominanza del maschile. Già Virginia Woolf scriveva che “la scienza a quanto pare non è senza sesso, è un uomo, un padre e per di più infetto”.

Le tecniche di manipolazione genetiche e in particolare le tecnologie legate alla procreazione sono un campo in cui il dominio scientifico maschile si esercita sulle donne e sulla natura; in particolare sul rapporto tra donna e natura. Che impatto ha questo sull'identità femminile?

Tutta la scienza moderna, sin dalle sue origini tra ’500 e ’600, è stata costruita in funzione non soltanto della conoscenza, ma anche dell’intervento sulla natura, per assoggettarla al dominio dell’uomo, come scriveva esplicitamente Francesco Bacone. Oggi tale processo ha raggiunto forme sempre più spinte e quelle contemporanee sono opportunamente chiamate tecnoscienze, proprio perché tendono a manipolare per trasformare, assai più che a osservare per conoscere e i loro oggetti di studio sono degli artefatti, piuttosto che delle entità date in natura. La sostituzione dell’artificiale al naturale riguarda ormai anche gli organismi umani, lungo una strada che coinvolge donne e uomini, sia come soggetti sia come oggetti delle sperimentazioni. Certo, nel caso della procreazione tecnologicamente assistita è l’identità di genere delle donne quella che ne risulta più profondamente toccata, perché rende la maternità un processo di produzione cui concorrono molti attori (e attrici: sono numerose le ricercatrici e le ginecologhe che si occupano di fecondazione artificiale). Penso che questo incida sul rapporto tra donne e natura, contribuendo ad esaltare quel porsi in atteggiamento di dominio e manipolazione che – come già accennavo – è caratteristico dell’intreccio tra le scienze moderne e contemporanee e l’identità di genere secondo cui si è forgiato il maschio-occidentale-bianco. A mio parere, che vi siano donne che fanno proprie queste modalità rientra nel più vasto problema dell’egemonia esercitata dalla linea di sviluppo che è riuscita a prevalere sino a globalizzarsi, affermandosi come univocamente necessaria (e per ciò stesso giusta: il rapporto tra scienza e società è impregnato di giudizi di valore).

Le donne che fanno riferimento ad un movimento di trasformazione dell'esistente hanno qualcosa da dire sulla scienza? Come si costruisce l'identità di genere delle donne nel mondo scientifico?
“Cambiare il mondo” era il cuore del progetto neofemminista della seconda metà del ’900 e il movimento delle donne ha generato filoni di riflessione, critica e azione nei campi più vari, compreso quello della scienza, in quanto nella generale presa di coscienza della differenza di genere anche la scienza venne riconosciuta nella sua essenza non-neutra. Di qui, però, non segue automaticamente che le donne che si dedicano a un lavoro scientifico esprimano modi di conoscenza diversi da quelli dei loro colleghi; anzi, il fatto stesso che permanga il modello epistemologico secondo cui il sapere scientifico, poiché oggettivo, non dipende da chi lo produce, dovrebbe rendere irrilevante la circostanza che si tratti di donne o di uomini. C’è dunque una forte pressione a conformarsi; d’altro canto, ci sono anche le situazioni concretamente vissute e i rapporti di potere: è soprattutto nel rivendicare i propri diritti di parità che varie scienziate pongono il problema nei termini di quell’impostazione riformista che ho descritto sopra come “donne e scienza”. Tuttavia, in alcune discipline, scienziate intenzionalmente partecipi della critica femminista hanno avviato anche qualche cambiamento rivoluzionario: a fine ’900, nel suo Has Feminism Changed Science? Londa Schiebinger ha riportato casi interessanti in medicina, biologia, primatologia.

(giugno 2011)

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